“Vieni, amor mio!”

Pinkerton ha acquistato per Chōchō-san (蝶 chō, farfalla) una casa sulla collina, con un bel giardino, “…una casa frivola…una casa a soffietto”, un luogo d’amore che si rivelerà irto di dolore e dramma. Da là si vede il porto ed è là che lei lo aspetta, sicura che verrà il giorno in cui un “fil di fumo” all’orizzonte annuncerà il ritorno della nave. Sono trascorsi tre anni da quando, per sposare l’ufficiale americano, la “bimba dagli occhi pieni di malia” appena adolescente ha abbandonato la famiglia, la religione dei suoi avi, gli usi, le tradizioni e, chissà? forse ha preso ad annodare i suoi obi in grandi fiocchi per decorare la sua casa all’occidentale. Tre anni in cui nutre e alleva con amore il loro bambino e la speranza che lui ritorni. Ha pensato a tutto, non gli correrà incontro, ma si nasconderà “un po’ per celia, un po’ per non morire”, per scherzare, come una ragazzina, e per assaporare adagio una gioia tanto grande che potrebbe soffocarla, quando lui la chiamerà di nuovo “piccina mogliettina”. Pinkerton torna, ma accompagnato da una bionda moglie americana e solo per riprendersi il figlio. Chōchō-san, che chiedeva solo “vogliatemi bene, un ben piccolino”, disillusa e tradita, riscatta la sua fragile ingenuità con l’estremo sacrificio: lascia che il suo bambino abbia una vita agiata con la nuova famiglia occidentale e sceglie lo Jigai per mettere fine alla sua esistenza, il suicidio rituale delle donne giapponesi, secondo la tradizione che aveva rifiutato per concedersi al bell’ufficiale.

L’ikebana, ispirato alle linearità delle architetture giapponesi, segue lo stile libero delle nuove tendenze dettate da Hiroki Ohara, l’attuale giovane e innovativo iemoto (家元, caposcuola) della scuola Ohara.

I materiali vegetali utilizzati sono Salix babylonica, Salix matsudana “tortuosa”, Cedrus deodara “pendula” e Orchidea phalaenopsis.

Nel 1854 il Giappone si apre al mondo occidentale, stabilendo relazioni commerciali e diplomatiche con gli Stati Uniti e poi con l’Europa. Tutto ciò che proviene dal paese del Sol Levante diventa una nuova moda che presto influenza artisti come van Gogh, Monet, Toulouse-Lautrec, Degas, oltre ad architetti e scrittori affascinati dal Giapponismo. È in questo contesto culturale che, nei primi anni del ‘900, Giacomo Puccini, dopo aver visto l’adattamento teatrale del romanzo breve Madame Butterfly di J.L. Logan, compone la sua opera, facendo della storia di Chōchō-san l’archetipo dell’incontro tra Giappone e Occidente.

Maria Callas registrò Madame Butterfly, sotto la direzione del maestro Herbert von Karajan, pochi mesi prima della sua unica interpretazione teatrale in questo ruolo nel Teatro Lirico di Chicago, nel novembre del 1955.