“Libiamo, libiamo ne’ lieti calici, che la bellezza infiora”
Violetta è giovane, bellissima e troppo spesso si concede, frivola e leggera, è una “donna di mondo” secondo i benpensanti. Nella sua elegante casa parigina intrattiene gli ospiti con pranzi, cene e brindisi alla vita e all’amore perché “fugace e rapido è il gaudio dell’amore, è un fior che nasce e muore”. Vive libera e spensierata, nonostante la sua salute non sia florida, fino a quando incontra l’amore, quello vero, con la A maiuscola, A come Alfredo. La felicità di questo amore è davvero fugace, perché Violetta cede alle pressioni della famiglia di Alfredo, preoccupata di salvaguardare il proprio onore, e lascia l’amante. Quando i due si ritroveranno, sarà ormai tardi per lei, che, consapevole della fine imminente, ricorda i tempi felici delle feste, dei brindisi e dell’amore. Ma nemmeno un amore sincero e profondo ha potuto salvarla dalle maldicenze e da una morale bigotta, si chiude il sipario e a Violetta non resta che intonare un ultimo saluto, quell’“Addio, del passato bei sogni ridenti… della traviata sorridi al desio; a lei, deh, perdona; tu accoglila, o Dio”, in cui dà sfogo alla sua nostalgia prima di spirare.
Proprio come l’opera, l’installazione, seppure realizzata con una tecnica di lavorazione classica, porta innovazione nel romanticismo dell’epoca e propone la tavola elegante di Violetta in un’ambientazione teatrale reinterpretata in chiave contemporanea e alla moda. L’impiego di fiale al posto della spugna da fiorista riduce l’impatto ambientale delle composizioni.
I materiali vegetali utilizzati sono Clematis “Amazing Kyiv”, Ranunculus “Hot Pink”, Rosa “Art Rose”, Rosa “Athena Royale”, Rosa “Creamy Twister”, Dianthus “Antiqua”, Dianthus “Farida”, Dianthus “Tessy Tessino”, Dianthus barbatus, Cyclamen persicum, Camellia, Hedera helix, Asparagus plumosus, Asparagus sprengeri, Trachelospermum jasminoides e Begonia rex.
La Traviata, ispirata al “La signora delle camelie” di A. Dumas, debuttò alla Fenice di Venezia nel 1853, ma raggiunse il successo solo un paio di anni dopo. Giuseppe Verdi, figlio del Romanticismo che permeava l’Ottocento, si propose di chiudere il retaggio della sua epoca con il desiderio di creare “un soggetto pronto, certamente di sicuro effetto” per portare un’innovazione nel panorama della lirica, con temi scabrosi, personaggi complessi e contraddittori, sentimenti forti e una società rappresentata in modo realistico e critico.
La parte di Violetta richiede vocalità diverse, capaci di seguire l’evoluzione da un tono frivolo e spensierato agli accenti sofferti, fino alla tragedia finale. Maria Callas nel 1949 rifiutò la parte perché allora riteneva la sua voce non in grado di “andare su e giù come un ascensore”, ma, nel 1953 con un’incisione e dal 1955 in teatro, si dimostrò capace di esprimere ogni sfumatura della partitura verdiana, tanto da diventare l’emblema di questa opera e del suo personaggio. Luchino Visconti, che la diresse in diverse occasioni, affermerà: “Tutte le Traviate che verranno… avranno un po’ della Traviata di Maria”